Aveva già cercato di farlo capire alla sua anziana madre
Il giorno in cui lei, anziana, incerta, timorosa del numero di giorni
Che il Destino le aveva concesso,
lo convocò al suo Paese d’origine -
voleva rivedere suo figlio un’ultima volta,
voleva riconciliarsi con lui
confessandogli:
-Io… sono stata sempre tanto apprensiva con te…
Perché mi sentivo in colpa.
Appena t’ho partorito,
la levatrice ti consegnò a me ed ebbi fra le braccia
una poltiglia cianotica e sanguinolenta che ansimava a malapena:
URLAI!, RIFIUTANDOTI…
e solo dopo, vedendoti lottare strenuamente per la vita fra le pareti di un’Incubatrice,
ti riconobbi come mio Figlio…
Potrai mai perdonarmi…?
Toccato, ma orgoglioso, il Mago le rispose:
-Madre, io non t’ho mai incolpata di niente.
Il dolore ti squarciava,
mi vedesti diverso
e
Tutto qui.
E forse, se tu non m’avessi rifiutato, io non avrei lottato per superare la mia Debolezza con altrettanta Volontà. Forse non avrei combinato niente in tutta la vita…
Risposta degna dell’ultimo prodotto d’un piccolo speciale Sistema
A sua volta contenuto in una piccola grande isolata Civiltà.
Sua Madre era stata donna saggia,
ultima d’un clan di Maghi che coltivava raffinatezze e diplomazie orgogliose
che lui fece proprie con ingorda facilità.
E, sì, fu anche una donna troppo ansiosa:
Troppo ansiosa di proteggerlo dal resto del mondo
(era, per lei, il fragile prezioso sensibilissimo Primogenito)…
Gli insegnò presto a diffidare del male che s’annida nei cuori
In forma d’invidie e gelosie, insondabile,
Sempre pronto a a ghermirlo:
Da lei imparò i primi rudimenti
Dell’arte di leggere le anime
Ma anche del distacco da esse, se non addirittura del timore – dell’alienazione.
E mentre la sua anziana Madre si confessava con lui,
Il suo ancor più anziano Padre taceva
D’un Silenzio ELOQUENTE.
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